Tempi moderni: una storia italiana 3

Politeama (la distruzione)

Queste immagini documentano sinteticamente una situazione tipica nei centri storici di molte città italiane: un vecchio cinema-teatro ormai chiuso viene abbattuto, sventrato, perché al suo posto possa essere costruito un centro commerciale o un edificio da adibire a uffici. In realtà si tratta del secondo atto di una situazione altrettanto tipica, che comincia a evolversi – se così si può dire – quando i cinema e i teatri del centro sono costretti a chiudere perché nelle periferie si aprono colossali multisala che reindirizzano il flusso del pubblico e assorbono tutti i clienti. Ma quella è un’altra storia. Questa, invece, è la storia del Politeama Universale di Arezzo, che era una bella sala attrezzata, in pieno centro, di cui ricordo volentieri il lucernario (che quando al cinema era ancora permesso fumare si apriva a fine proiezione per far uscire il fumo) e un fregio che incorniciava il palcoscenico per ricordare a tutti che “il mondo intero è una ribalta”, ormai ridotto a pochi frammenti aggrappati al muro dell’edificio sventrato. Il Politeama (a cui è dedicata anche una breve scheda su wikipedia) non era un cinema qualsiasi: costruito negli anni 30 del novecento su una precedente struttura ottocentesca, era un piccolo gioiello art décò polivalente, in grado di ospitare sia una programmazione cinematografica di qualità che una buona stagione teatrale e concertistica (tra le altre cose era la sala più capiente della città). Non è tanto l’indifferenza che sta accompagnando la sua scomparsa che mi fa arrabbiare; purtroppo la mancanza di rispetto e di considerazione per qualsiasi tipo di patrimonio culturale è molto diffusa nel nostro paese, e non è certo con la nostalgia che salveremo il Nuovo Cinema Paradiso di turno, o l’area archeologica abbandonata. Quello che non riesco proprio a digerire è il dover constatare che ormai le città si stanno trasformando in vetrine senza anima, come se quello consumistico fosse l’unico modello di sviluppo possibile, anche contro ogni logica, contro i segnali che i tempi che stiamo vivendo ci inviano ogni giorno; e indipendentemente da chi le amministra. La mia città, ad esempio, ha avuto per alcuni anni un governo di centrodestra, che si è preoccupato sostanzialmente di fare tre cose: costruire strade e rotonde, lottizzare grandi aree periferiche (ovvero quella che fino a poco prima era una bella campagna toscana) fino a ricoprirle di villette a schiera tutte uguali (anonime, anguste, costose e in gran parte invendute) e trasformare spazi pubblici, edifici storici o altri luoghi significativi in centri commerciali. Poi ci sono state altre elezioni e la città è tornata a un governo di centrosinistra. Che sta facendo tre cose: strade e rotonde, lottizzazioni per villette a schiera, centri commerciali. Ora, possiamo anche discutere sulle differenze tra destra e sinistra tirando in ballo i significati più nobili della parola politica, ma la sostanza è questa: destra e sinistra governano questa città (e, presumo, molte altre) praticamente nello stesso modo, facendo le stesse cose, applicando gli stessi schemi ed evitando di prendere una qualsiasi decisione che sia non dico coraggiosa o controcorrente, ma almeno diversa. Una decisione, ad esempio, in grado di dare un sia pur piccolo contributo a un cambiamento di tendenza, capace di considerare prioritari anche i bisogni reali dei cittadini o le istanze del bene comune, e non soltanto gli interessi dei costruttori, delle multinazionali o di qualche altra lobby pronta ad appropriarsi del patrimonio di tutti in nome e per conto del profitto di pochi. Dopo tutto è questa la politica: decidere cosa fare rispetto a situazioni che possono evolversi in modo diverso a seconda del tipo di decisione che si prende. Un’amministrazione di sinistra, ad esempio, potrebbe investire in altre direzioni, deliberare in modo da incentivare il recupero degli edifici esistenti anziché la costruzione di nuovi lotti, agevolare un tessuto commerciale più diffuso e sostenibile piuttosto che autorizzare l’apertura di altre strutture sovradimensionate, ascoltare i cittadini, garantire e difendere gli spazi pubblici anziché svenderli al miglior offerente. Potrebbe cercare di salvare una struttura, un cinema o un teatro anziché autorizzare la loro definitiva distruzione. Potrebbe. Ma non lo fa. Per incompetenza, forse; o per calcolo; o peggio. Ma allora che senso ha votare? Che significato ha eleggere un sindaco che si definisce di sinistra se poi non fa nulla di diverso da ciò che faceva il suo predecessore di destra? Per quale ragione non dovremmo scegliere di non votare o non dovremmo offrire un’opportunità a chi non rientra in schemi consolidati ma magari ha qualcosa da dire, o potrebbe essere capace di prendere qualche “altra” decisione? Il Politeama Universale ormai non c’è più: ma c’è ancora un po’ di tempo per portare con noi, alle prossime elezioni, la rabbia, la delusione e la nausea che stiamo accumulando…

3 thoughts on “Tempi moderni: una storia italiana

  1. Mario Rotta Aug 31,2012 6:58 am

    Sono d’accordo: la qualità della vita dipende da noi, e anche l’inadeguatezza della classe politica fa parte della nostra irresponsabilità, evidentemente c’è chi li vota e chi non si oppone o non si impegna abbastanza in prima persona proponendo delle alternative. Il problema è che spesso siamo costretti a sopravvivere, letteralmente: e non possiamo fare molto di più. Non so quale potrebbe essere la soluzione, ma so che la classe politica è sensibile solo al consenso, e negarglielo forse è un buon modo di esercitare una pressione convincente. Parallelamente, considerando che il fatturato è il metro di valutazione del mondo dei costruttori, dei commercianti e delle imprese, possiamo provare a ridurlo, resisitendo alle offerte speciali, comprando poco e consapevolmente. Sarebbe già qualcosa…

    • MRB Aug 31,2012 5:35 pm

      Sai Mario, la classe politica, anche quella più illuminata, si trova spesso ad avere a che fare con delle collettività che non vogliono e/o non sanno partecipare alla vita della comunità. Hai presente le sedute deserte di pubblico in cui il consiglio comunale presenta il programma di bilancio e cioè il modo in cui intende governare la città e usare le risorse pubbliche per gli anni successivi? Non basta negare il consenso: bisogna costruire davvero qualcosa di nuovo.

  2. MRB Aug 30,2012 9:57 pm

    Abbiamo paura di parlarci, di farci conoscere giorno per giorno nella nostra quotidianità, nelle nostre contraddizioni, paure, speranze. Le città non le viviamo per incontrarci. Non so, ma credo che finché non troveremo la forza, il coraggio per sentirci insieme, uniti da qualcosa che ci arricchisce non verremo mai fuori dal degrado dei tanti posti in cui viviamo. La qualità delle nostre città e del nostro territorio non dipende infatti dalle scelte delle amministrazioni che ci governano ma da noi, dal nostro sistema di valori.

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