Natale asintomatico 1

Natale2020

Lo so che sono avidi e gretti. Ma un ringraziamento, anche a denti stretti, lo avrei apprezzato. E invece niente, non una riga, un tweet, un post, un memo, un tag, nemmeno una telefonata. Sto parlando di quelle entità astratte e viscide che dopo aver snobbato per anni la mia voce sincera contro i falsi miti del consumismo natalizio, quest’anno stanno nascondendo sotto il tappeto le ceneri delle loro solite urla e cercano di parlare sottovoce e sottotono, appoggiando le parole e le immagini su sfondi rassicuranti e intimi, dove forse cercano di mimetizzarsi in attesa di tempi migliori. Eccole, com’era prevedibile, le pubblicità del Natale ai tempi della pandemia: se si escludono quelle dei profumi (che se non altro hanno avuto il coraggio di riproporre le loro narrazioni lisergiche o sadomaso, mantenendo una loro identità, per quanto insopportabile), nelle altre trionfano i buoni sentimenti, la sobrietà, la famiglia purché non troppo numerosa, il focolare ma senza fare tardi, l’annuncio che saremo migliori, in cui non credono più neanche i bambini, come del resto non ci credevano nemmeno quando erano loro, i bambini – e non un logo – a scrivere delle letterine da leggere la sera del 24, nella speranza che, magari mentendo un po’, si traducessero in tanti bei regali.

E quindi? Che cosa posso scrivere di questo Natale venti-venti? Potrei liquidarlo in modo perentorio, con un insulto a bruciapelo. Magari aggiungendo (un po’ di ironia ci vuole) che si presenta in modo anomalo, ma asintomatico. Ma non può, non deve finire così! Questa volta misurerò le parole, ma solo per saggiarne la pesantezza. Cominciando proprio dalle pubblicità: spengetele, cancellatele, cambiate subito canale, bloccate i pop-up, scappate via dai siti, dai portali e dalle pagine che ce le gettano addosso in modo compulsivo e fraudolento. Ragionate sul ruolo che svolgono, con assoluta premeditazione, in questo periodo incerto: il loro scopo è annichilire le nostre coscienze e limitare la nostra capacità di giudicare e di scegliere, peraltro già compromessa da altre situazioni contingenti; così, una volta ridotti ad automi senza segni di attività neuronale, compreremo quei prodotti, cioè le solite schifezze che le entità mandanti, le multinazionali dei farmaci, della grande distribuzione, dell’informazione, delle finanza e relativi derivati, delle telecomunicazioni, dell’elettronica di consumo e dell’energia, ci propinano da sempre, ovviamente senza dire che per la maggior parte si tratta di proposte truffaldine, o di roba fatta in Cina e dintorni, perché lì costa 1 quello che, spendendo 10 in pubblicità, sarà venduto a 100. E noi qui, coglioni, ad aspettare che arrivino i saldi! Pensiamoci: se costa 1 più 10 di pubblicità, anche scontando del 50% il prezzo finale pari a 100… per non parlare di quei beni immateriali che costa ancora meno produrre, molto di meno pubblicizzare e valgono molto di più sul cosiddetto mercato. Quante telefonate ricevete ogni giorno al numero che avete iscritto invano sul registro delle opposizioni? Quante proposte vantaggiose? Quanti regali a condizione che? Da parte di chi? La pubblicità (se ha ancora un senso chiamarla così) sta invadendo ogni centimetro e ogni minuto della nostra vita; e nella paura diffusa che sta soffocando il mondo intero ci sguazza e se la ride, perché si fanno buoni affari se la gente resta a casa impaurita e incerta, indebolita, arrendevole; cioè, nel gergo dei pubblicitari, più sensibile ai vantaggi delle offerte speciali, ai prodotti che delineano il miraggio di una zona di comfort e alla promessa di un mondo migliore (che a essere sinceri mi sembra di aver già sentito da qualche parte…).

Ma questo è solo l’inizio, sono i primi segnali di una società che sta diventando sempre più simile a una di quelle distopie di cui avevamo letto nei libri di autori che apprezzavamo. Il seguito non è del tutto scritto, spero, ma si aggira come uno spettro, o forse come un Golem, per l’Europa e oltre. Le coscienze annebbiate digeriscono ben altro: la riduzione dei diritti e delle libertà individuali, provvedimenti che ricordano le leggi marziali, accentramento dei poteri, qualcosa che somiglia sempre più al concetto di “dittatura morbida”, o peggio, visto che in molti casi si configura una richiesta di cessione di libertà in cambio di una garanzia di sicurezza, cioè qualcosa di molto simile all’intimidazione mafiosa, che ormai (non lo dico io ma uno degli ultimi storici di ispirazione marxista) sembra essere diventata un modello consolidato di transazione. Qualcosa, insomma, che sta sgretolando tutto quello in cui abbiamo creduto e per cui abbiamo vissuto, con l’aggravante dell’insistenza su un nemico invisibile e globale, dipinto in modo così terrificante da convincere gran parte della popolazione mondiale ad accettare, in tempi brevissimi, una serie di limitazioni e di sacrifici che fino a uno o due decenni fa non solo sarebbero state considerate inaccettabili, ma in molti casi trattate come attacchi diretti alla democrazia, che a tutti gli effetti è ciò che sono. Non ho mai ceduto alle nostalgie e non lo farò adesso. Ma lasciatemelo dire: dove sono i partiti che si opponevano in modo coerente a qualsiasi dubbio sulla Costituzione? Dove sono i sindacati che rivendicavano ad ogni occasione diritti e lavoro? Dove sono gli intellettuali anticonformisti e capaci di andare oltre un dibattito semplificato a tal punto che ormai le uniche posizioni riconoscibili sono gli schieramenti di chi sostiene che “moriremo tutti” e di chi dice che “andrà tutto bene”? Se ce ne fossero ancora, magari ci avrebbero ricordato che il vero nemico non è un virus (che in quanto tale si può curare), ma la devastante collisione tra gli enormi interessi che ruotano attorno al problema alimentandolo e sfruttandolo come pretesto e l’atteggiamento rinunciatario, acritico, passivo di quasi tutta la popolazione. Non si tratta di un conflitto ben delineato, perché non possono esserci né vincitori né vinti: rimarrà solo una terra desolata, un grande vuoto, dove le guerre vere, quelle commerciali, passeranno sopra le nostre teste, condizionando sempre più i nostri consumi e i nostri comportamenti, fino a quando non rimarranno che poche opzioni a disposizione di chi non appartiene a qualche elite in grado di difendersi: lavorare, mangiare, riposarsi quanto basta, morire. Ed è sottinteso per chi si lavorerà, che cosa potremo mangiare, dove e quando potremo riposarci e di che cosa moriremo: di ciò che i grandi imperi economici vorranno e della cui necessità ci convinceranno, anche attraverso quelle stesse pubblicità da cui il mio ragionamento era partito, quelle che ci consigliano un Natale “diverso”, ma con lo stesso panettone.

A questo punto saranno arrivati fin qui soltanto 4 o 5 lettori su 25. Si saranno già accorti che non sono entrato nel merito di ciò che sta accadendo attorno a noi. Non l’ho fatto perché volevo privilegiare una prospettiva storica sostenuta dal pensiero critico, evitando i facili slogan ricavabili dalla cronaca, che poco possono aggiungere alla complessità della situazione e alla fatica che costa ragionare lucidamente non sul fenomeno in sé, ma sulle sue premesse, implicazioni e ripercussioni. Non dobbiamo lasciare che le responsabilità e le colpe di questo o di quello rimbalzino, come palle da tennis di una partita che si gioca a porte chiuse, dall’uno all’altro campo, lasciando solo l’eco di un rumore sordo. La domanda essenziale, infatti, non riguarda i numeri della pandemia, né i colori delle aree geografiche, e nemmeno le famigerate mascherine. Riguarda le nostre coscienze, su un piano quasi filosofico se posso osare: cosa siamo disposti ad accettare in nome di una sicurezza non meglio specificata? Per quanto tempo ancora, senza che nessuno sappia delineare una soluzione plausibile? Ma soprattutto, vale la pena rinunciare a vivere per sopravvivere? O è meglio accettare i rischi che il vivere comporta, cercando comunque di riprendersi la vita?

Mi piacerebbe che fossero questi i confini del confronto, nel rispetto reciproco delle scelte di vita che ciascuno sente di voler fare. Ma ancora di più mi piacerebbe che il giorno di Natale tutti coloro che amo e che stimo, e anche tutti gli altri, facessero questo regalo a loro stessi: respirate l’aria pura se avete la fortuna di esserne circondati; stringetevi forte, baciatevi, come avete sempre fatto; aprite gli occhi e guardate il paesaggio che vi circonda, non importa se non è bello, basta che sia vero e che ci ricordi che è importante provare delle emozioni e avere delle storie da raccontare, e sapere che quelle storie vivono in quel paesaggio; che può anche essere dentro di noi, a condizione che sveli un orizzonte dove tutto è ancora possibile.

One comment on “Natale asintomatico

  1. cinzia vaccari Dec 25,2020 12:07 am

    Incommensurabile ed ineccepibile. Tutti dovrebbero leggerla. Grazie di cuore per avere espresso questi concetti in maniera così perfetta

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