No more dreams

finestre (vero / falso)

Ieri notte mi sono disteso sul letto e ho fatto un sogno. Era un sogno strano, con momenti di pathos ma anche molti momenti di noia e di attesa, che nei sogni che si riescono a ricordare di solito sono più rari. Tutto cominciava nel momento stesso in cui mi sembrava di alzarmi. Mi sentivo un po’ confuso, non capivo bene dove mi trovavo, così ho acceso una radio per cercare un notiziario o raccogliere qualche altro elemento utile. Parlavano la mia lingua, o meglio, sembrava la mia lingua ma era diversa, solo che io la capivo lo stesso, come succede nei sogni. Di diverso ho notato la presenza di molti termini che in realtà appartenevano ad altre lingue: ad esempio non dicevano “colazione”, ma “breakfast”. E poi c’erano molti neologismi e molte parole ripetute in modo quasi ossessivo: ricordo in modo particolare “inaccettabile”, “trend”, “insulto”, “mercati”, “furia”, “sammit” (penso che si scriva così), “impedimento” e una certa quantità di sigle abbastanza buffe. Dopo un po’ ho trovato un notiziario. Parlavano di una specie di tempesta meteorologica in atto su tutto il paese, di disagi, di allarme, di morti e di feriti. Ho subito guardato fuori dalla finestra: il cielo era relativamente nuvoloso e doveva aver piovuto un po’ durante la notte, ma a me sembrava una normale giornata primaverile, incerta, non proprio bella, ma non così disastrosa come stavano dicendo. Altre notizie riguardavano la politica. Per quello che ho capito il paese in cui mi trovavo stava attraversando un periodo molto difficile, e praticamente tutti i partiti avevano deciso di coalizzarsi per fronteggiare l’emergenza. In una breve intervista il presidente si diceva soddisfatto dei primi risultati ottenuti (senza tuttavia specificare quali), ma in realtà pare che tra i vari alleati temporanei non corresse proprio buon sangue, e alcuni in particolare dicevano, nella stessa frase, che avrebbero votato un certo provvedimento per senso di responsabilità ma anche fatto cadere il governo se si fosse votato quello stesso provvedimento prima o dopo altri provvedimenti non meglio specificati. Il notiziario proseguiva con un elenco degli indici delle varie borse, a cominciare da quella giapponese, al che ho pensato che forse mi ero sintonizzato su un canale specializzato in notizie economiche. In realtà, poco dopo, hanno detto che erano pronti ad aprire un’ampia pagina di sport. Sono uscito immediatamente, anche perché volevo capire meglio dove mi trovavo. Non ho riconosciuto subito la strada. Sembrava familiare, ma ricordavo che c’erano almeno un vecchio negozio di bottoni, una libreria, un piccolo alimentari e un fotografo: al loro posto, anche se non necessariamente nello stesso ordine, c’erano invece una catena di biancheria intima, un’enorme profumeria, un negozio di occhiali con diverse offerte, due punti vendita di prodotti telefonici (anche se non ho capito se vendevano telefoni o abbonamenti, o entrambi), una specie di buco con dei distributori automatici tipo quelli delle stazioni. Il bar però c’era ancora, così sono entrato per bere un caffè. Dentro c’era molto rumore, ma non erano le voci che ricordavo. Erano suoni abbastanza fastidiosi, una specie di carillon stonato e confuso, che provenivano da dietro una tenda che chiudeva uno spazio dove sono sicuro che tempo fa c’erano dei tavolini. Pazienza, mi sono detto, prenderò il mio caffè e domani mi cercherò un altro bar: qui era cambiato tutto, anche il barista, che era un ragazzino giovanissimo con un accento indecifrabile e – si capiva subito – pochissima esperienza. Mi ha chiesto se volevo il caffè con il ginseng, oppure con il cacao e i pistacchi, o un marocchino macchiato caldo: no grazie, vorrei soltanto un caffè. Mi ha guardato come se avessi chiesto chissà cosa, per quanto i sogni possano ingannare, e alla fine, quasi a bocca aperta, mi ha chiesto se intendevo dire un caffè normale. In effetti sì, anche se è difficile definire la normalità, soprattutto quando si parla di caffè. Poi sono uscito e mi sono avviato verso il mio ufficio, che doveva essere poco distante. Ma non è stato facile arrivarci: i marciapiedi erano occupati da grosse auto da cui scendevano bambini e genitori che portavano pesanti zaini e borse montate su carrellini. Sembrava di essere all’aeroporto, ma era solo l’entrata di una scuola, credo. Poco più avanti, ho dovuto aspettare un po’ per superare un ingorgo di macchine, persone, motorini e altro: più della metà della strada era infatti occupata da un cantiere che – ne sono sicuro – il giorno prima non c’era, e che non sono riuscito in ogni caso a capire a che cosa servisse. Infine, sono arrivato in ufficio. Sono entrato, mi sono guardato intorno per vedere se riconoscevo qualcosa, mi sono seduto, ho acceso un computer. E improvvisamente mi sono accorto che non avevo nulla di particolare da fare, a parte controllare la posta e rispondere a qualche messaggio. C’erano diversi progetti che si erano accumulati sulla scrivania, e sono sicuro che stavo lavorando anche su altre idee. Ma per quello che potevo osservare era tutto fermo, ero come immobilizzato. Era come se non sapessi più da che parte cominciare, ma solo in apparenza: in realtà non avevo idea di come andare avanti. Anche nella posta c’erano praticamente solo messaggi pubblicitari, ma non le risposte che stavo aspettando (o almeno così mi sembrava) e niente che somigliasse a uno spunto, uno stimolo, un contatto realmente utile. Che cosa era successo? Mi sono ricordato che avevo un commercialista e l’ho chiamato, magari avrebbe saputo darmi qualche consiglio, oppure, che so, dirmi se c’erano strade percorribili, nuove leggi, canali di finanziamento, provvedimenti in base a cui poter impostare delle nuove attività. Nulla. Mi ha detto che eravamo in piena crisi (ma anche se era un sogno lo avevo intuito io stesso) e che il governo aveva impostato dei decreti sul lavoro, ma pensando per il momento solo ai giovani sotto i 24 anni e a chi si stava avvicinando alla pensione. E chi aveva 30, 40 o 50 anni? Bisognava arrangiarsi, stringere i denti, aspettare. A meno che non cambiasse qualcosa: tu ci vai a votare? Già, a votare! Ecco che cosa mi stavo dimenticando! In quei giorni c’erano le elezioni nel paese in cui stavo sognando di essere. Mi sono messo subito a cercare il mio certificato elettorale e ho verificato l’indirizzo del seggio. Sono uscito, mi sono incamminato e una volta arrivato alla sede della sezione ho subito cercato i manifesti con le liste elettorali, per abitudine, ma anche per riflettere meglio su eventuali candidati che mi sarebbe piaciuto sostenere. Ma in realtà c’erano solo due liste, che peraltro, per quanto avevo potuto intuire dal notiziario che avevo ascoltato, in quel momento erano entrambe al governo. E gli altri? Non hanno potuto o non sono riusciti a presentarsi per questioni tecniche, mi dice un tale che stava passando di lì. Ma allora che senso ha votare? Il tizio mi guarda con un certo stupore e mi risponde che in fondo è questa la democrazia. Poi mi consegna un volantino, che, correttamente, non contiene propaganda diretta, ma solo un’informativa commerciale autorizzata dove si spiega che i costi delle elezioni sono stati in parte coperti dal contributo di alcuni sponsor, tra cui non posso fare a meno di notare un produttore di sigarette elettroniche, un sito di giochi online, una banca d’affari e un insospettabile gruppo editoriale. A pensarci bene, più che a un sogno somigliava sempre di più a un incubo. Ma poi, finalmente, sono riuscito ad addormentarmi…

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