Variazioni sulla pizza (e sulla storia d’Italia…) 2

Osservando il pannello di controllo di Google Analytics ho scoperto che le mie “ricette d’amore” sono tra le pagine più visualizzate di questo diario virtuale. Non mi dispiace affatto, anche se non vorrei che fossero prese troppo sul serio: spesso si tratta di ricette improbabili, sospese tra la cucina e l’immaginazione, non necessariamente riproducibili. Ma evidentemente c’è qualcosa che attrae in quelle procedure che mi piace raccontare come la trama di una storia che parla allo stesso tempo di emozione e di alchimia, della scoperta improvvisa dei profumi e della ripetitività dei gesti e dei movimenti. Così oggi aggiungo una ricetta a questa serie. Non proprio una ricetta, in realtà: piuttosto una variazione su un tema controverso e allo stesso tempo una visione su ciò che forse farò, proprio ora che è il momento di ricordarci che viviamo in un paese bellissimo che molti hanno cercato e cercano di dividere e di distruggere dimenticando che altri, i nostri padri, i nostri nonni, i nostri antenati hanno combattuto e sofferto, con coraggio e onestà intellettuale, per costruirlo e consolidarlo. Per questo oggi mi dedicherò alla pizza. Non la sottovaluterei, la pizza, è un’idea assolutamente geniale, oltre che una metafora perfetta della nostra nazione: una base semplice, un’idea vecchia come il mondo, ma reinterpretata come un accordo musicale, su cui si può costruire qualsiasi melodia, dal banale ritornello al brano che ti toglie il respiro. Esattamente come è accaduto e accade in Italia ogni giorno. Io me la cavo benino con la pizza, anzi, dicono che le mie pizze siano molto buone. In effetti non è merito mio, è che ho la fortuna di vivere in un territorio integro, ancora molto legato alle tradizioni, dove posso permettermi il lusso di ignorare i banchi del supermercato e andare a prendere la farina al Mulino Grifoni a Pagliericcio, in Casentino, dove si macina il grano a pietra da più di tre secoli. Questo è il primo passo: per preparare una buona pasta di pane ci vuole una farina di qualità superiore. Dev’essere di tipo 2, ne devi sentire il profumo antico quando esce dalla macina, e deve conservare intatto il germe del grano, che la rende saporita e digeribile. Con quella farina si prepara una fontana e si comincia a impastare facendola cadere a poco a poco dai bordi interni verso il centro, come la terra nella caldera di un vulcano, sull’acqua appena tiepida in cui è stato sbriciolato un panetto di lievito (ogni 450 grammi). Poi, si mette pochissimo sale – almeno in Toscana – e un cucchiaino di olio buono. E poi si lavora la pasta con le mani, abbastanza a lungo, prima di lasciarla riposare sotto un canovaccio per diverse ore: va lasciata crescere, proprio come l’amore. Infine, si accende il forno alla massima temperatura e si lascia scaldare bene, mentre si stende la pasta, per farne una teglia grande o pizzette più piccole, che secondo me sono migliori. Di solito preparo pizze semplici, classiche, con pomodoro biologico e mozzarella. Ma per i 150 anni del nostro paese proverò a inventarne qualcuna più in tema. No, niente tricolore, la Margherita è già stata inventata, diffusa, riciclata e omologata. Piuttosto penso a condimenti che raccontino i sapori di un percorso tra nord, centro e sud, che poi è il percorso della mia famiglia, dal capitano garibaldino Giuseppe Rotta, partito dalla provincia di Verona per imbarcarsi con i Mille, alla Calabria di mio nonno e di mio padre, alla Toscana di mia madre. Pizze a tre strati, combinando ogni volta un prodotto del Veneto, uno della Calabria e uno della Toscana. Mi vengono in mente almeno tre improvvisazioni. Sedano di Verona, n’duja di Spilinga e formaggio di capra delle Crete Senesi (su una base bianca). Radicchio tardivo di Treviso, pomodorini secchi con i capperi e pecorino del Pratomagno (sempre su una base bianca). Baccalà bianco sfilettato, broccoletti cotti con le alici piccanti e lardo di Colonnata sminuzzato insieme a un po’ di finocchiona (su una leggera base di passata di pomodoro, aglio e olio). Perché una pizza è soltanto una pizza per molti, ma per qualcuno può essere anche una pagina della storia d’Italia. Un modo per restare qui, o andarsene portando via soltanto i ricordi più belli.

2 thoughts on “Variazioni sulla pizza (e sulla storia d’Italia…)

  1. Mario Rotta Nov 22,2010 8:32 am

    In effetti Luca, le tue pizze di sabato (eccellenti come sempre) evocavano queste mie immaginazioni. Si vede che in questa “povera patria” c’è un sentire comune che si diffonde…

  2. Luca Perrone Nov 21,2010 12:20 pm

    Buon giorno Mario!
    Non smetterai mai di stupirmi!!
    Mentre leggevo, riuscivo a sentire tutti i profumi degli ingredienti della tua ricetta……ma la cosa che mi ha colpito di più…e’ la coincidenza d’ ingredienti di alcune mie pizze, che tu proprio ieri sera hai assaggiato!!!! ……..e per me la Pizza è un modo come dici Tu di restare QUI e di risvegliare certi Sapori che facciano riaffiorare la voglia di non lasciare andare alla deriva questa nostra amata TERRA!!

    Fantastico!! ……..e ………alla prossima!!

    Luca

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