Ai suoi viaggi, al suo sguardo

A Fabrizio Pecori

A Fabrizio Pecori (1962-2011)

Non riesco a crederci, eppure è così. Non riesco a scrivere, anche se ne sento il bisogno. Non so dove guardare, ma ho provato a frugare tra le immagini che avevo, lasciando che alcune si accumulassero l’una sull’altra, strato su strato, come i sedimenti di un’era geologica troppo lunga per la fragilità di una vita, e allo stesso tempo troppo breve per rendere conto dell’eternità di ogni momento che attraversa l’anima e ne perfora la scorza come lo scorrere dell’acqua su una pietra trasparente. Ma sto già esagerando. Fabrizio detestava la retorica: non solo, detestava la ridondanza, l’enfasi. Ogni giorno scriveva testi essenziali e rigorosi, o pubblicava immagini dirette, pure (per quanto possano esserlo le immagini). Le chiamava geografia emotiva, erano i racconti dei suoi viaggi, fotografie capaci di racchiudere in un frammento di percezione quelle poche cose che ognuno di noi dovrebbe mettere sempre nello zaino: l’ironia, la meraviglia, l’umanità, l’illuminazione. Andavo spesso a cercare quelle immagini: talora sottolineate da didascalie fulminanti come aforismi, erano il taccuino digitale di un grande esploratore che aveva letto Chatwin ma sapeva guardare il mondo con i suoi occhi, attraverso una lente attuale, senza pregiudizi né intellettualismi, uno sguardo che solo chi viaggia davvero può possedere. E ora? Che ne sarà del mondo senza i suoi percorsi? Che ne sarà della realtà senza i suoi punti di vista? Che ne sarà dell’esistenza che spesso trasciniamo a fatica senza la leggerezza delle sue intuizioni, senza l’intelligenza della sua curiosità? Che ne sarà di noi senza di lui? Una persona come Fabrizio non si può racchiudere né in poche righe né in una galassia lontana lontana. Ma a mio modo lo conoscevo bene, insieme avevamo indagato sulle tecnologie digitali ma anche giocato a calcio balilla in un’osteria, ci eravamo incontrati per caso a teatro e deliberatamente ritrovati a convegni e conferenze, spesso mi aveva intervistato per la sua rivista ma una volta mi aveva anche fatto assaggiare una delle 5 o 6 bottiglie di olio nuovo che era riuscito a produrre. Parlavamo di tecnologie, di arte d’avanguardia, di buona cucina, di fotografia, di luoghi e di metafore. Così, forse, riesco a immaginare la sua risposta: come un invito a continuare i suoi viaggi e a non dimenticare i suoi sguardi, forse ci direbbe che “le navi in porto sono al sicuro, ma non è per questo che sono state costruite”. Addio, amico mio.

[la citazione finale è una frase di Benazir Bhutto riportata nel Blog di Fabrizio Pecori]

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