Per Giuliano Azzoni

Lettera immaginaria da un paese sospeso sulla densità del nulla
(Santorini, Grecia, estate 1996)

Non so immaginare, Giuliano, che impressione potrebbe farti questo paese di case bianche sospeso sull’orlo di un vulcano sprofondato nelle acque, proprio come nel mito che nacque dalle chiacchiere dei vecchi sull’evento. No, non sto parlando di una città invisibile, ma di un luogo che conosco e che è ancora vivo, benché, a volte, somigli alla materia di cui sono fatti i sogni e in particolare i fantasmi. Qui un cataclisma ha sconvolto un mondo che abbiamo sognato ma mai raggiunto, qui il nostro mondo è nato, quando tutti fuggirono in cerca di una nuova terra su cui ricostruire le apparenze della vita e la realtà della storia, quello che poi fu chiamato, per consolarsi del perduto paradiso, l’inferno quotidiano meritato dal nostro peccato. Non so se riuscirai a credermi. Ma ti dirò che in queste strade ripide e su queste terrazze che tolgono il respiro si avverte ogni volta la sensazione di una forza incombente, l’eco di un boato lontano, che potrebbe annientarci tra un attimo appena, non sapendo se sia il residuo dell’antico scoppio o l’annuncio di una nuova esplosione. Il confine tra le pieghe della vita e il nulla orizzontale della morte è nei neri dirupi dove si arrampicano le capre e i muli, nei rossi agglomerati della lava raffreddata. Questa è la linea d’ombra che separa l’esistenza dall’oblio. E chiama, dolcemente, come se cantasse con voce di donna. Finestra sulla gomma dello spazio. Porta sul girotondo del tempo. Qui, Giuliano, l’abisso ha i colori del mare. Ne rimarresti ammaliato. Qui la natura non imita l’arte. Qui la morte imita la vita.

Appunti per Giuliano (1997)

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